Benvenuti nel sito della Biblioteca Popolare "Salvatore Barra" di Partinico


Sito della Biblioteca Popolare "Salvatore Barra"
Sede: Circolo "Peppino Impastato" del PRC, via Venezia (ex Arena Lo Baido) - Partinico
Indirizzo e-mail: bibliotecasalvatorebarra@hotmail.it

Chi era Salvatore Barra

Salvatore Barra nacque a Partinico il 05/10/1934. La sua famiglia si componeva del padre, illustre medico specialista in medicina legale, e della madre, preside in istituti scolastici, prima a Partinico poi a Palermo. Egli era figlio unico. Concordi nelle decisione di educarlo alla più completa libertà intellettuale, mai i genitori tentarono di influenzare la sua personalità forzandola a scelte non consone all’indole sua. L’età della fanciullezza e della pubertà di Salvatore fu comunque particolarmente segnata dall’educazione impartitagli dalla madre che, donna piissima e di salda fede, cercò di indirizzarlo, con discrezione, al culto dei valori e degli ideali cristiani. In quegli anni frequentò perciò l’Azione Cattolica.
Maestri e professori di elevata cultura, come il docente di Lettere classiche Leonardo Lo Bianco ed altri studiosi del liceo “Umberto I”, gli diedero presto il gusto delle assidue letture, rimasto poi in Salvatore sempre vivo fino agli ultimi giorni di vita.
Interessato soprattutto ai problemi della storia, della filosofia, della politica, non tardò ad incontrarsi con la cultura marxista, tornata, nella nuova temperie creata dalla rinata democrazia italiana, a godere l’attenzione e il credito di numerosi intellettuali.
I dibattiti politici e la controversa valutazione del “socialismo reale” svegliarono in lui il desiderio di conoscere direttamente l’Unione Sovietica e i Paesi dell’Europa orientale. Viaggiò molto perciò in quell’area geografica, non per curiosità di turista, ma per confrontare la realtà di quel mondo con la rappresentazione che di esso veniva data, o per esaltarne il successo, o -come era costume della stampa “borghese”- per denunciarne il fallimento.
Il comunismo italiano volle conoscerlo alla “fonte”. Ebbe perciò colloqui con dirigenti di primo piano, conobbe personalmente Palmiro Togliatti ed ebbe con lui diversi incontri.
Operò poi nella realtà territoriale della provincia di Palermo e particolarmente a Partinico, dove il sociologo triestino Danilo Dolci, muovendosi dal suo epicentro situato a Trappeto, senza mai identificarsi con un partito politico o prenderne la tessera, dagli inizi degli anni Cinquanta era impegnato a denunciare le gravi ingiustizie sociali e ad informare il mondo intero sullo stato di arretratezza della popolazione di quel lembo dell’isola.
A fianco dei compagni partinicesi, e particolarmente di Cola Geraci e di Turiddu Termini, dirigente della Camera del lavoro, Salvatore condusse battaglie memorabili finalizzate al riscatto della classe contadina.
I benpensanti partinicesi gridarono allo scandalo, non avendo mai visto, prima di allora, a Partinico, un esponente di famiglia agiata (come egli era) impegnarsi decisamente nella lotta politica dalla parte dei “vinti” (come avrebbe detto Giovanni Verga). La scelta di Salvatore era invece motivata dalla ferma convinzione che il comunismo fosse l’unica strada da percorrere da parte di chi voleva il riscatto degli oppressi.
Serviva una rivoluzione senza violenza, che doveva scaturire, prima di tutto, dal rispetto della legalità, m non di una legalità formale, bensì dalla coscienza dei diritti fondamentali dell’uomo, che, riferiti a quei soggetti politici che sono i lavoratori (contadini, artigiani, operai ecc …), si conseguono soltanto se e quando essi partecipano a pieno titolo, tramite i loro rappresentanti, al governo della “res pubblica”.
Nella sua vita privata egli diede assiduamente testimonianza di fedeltà a questo ideale, resistendo alle suggestioni del mondo borghese, che rifiuta spesso di fatto (anche se a parole talvolta dice di accettarlo) il principio dell’eguaglianza. Qualunque tentazione di prepotenza o prevaricazione gli fu perciò sempre estranea, ma la sua passione civile si volge anche a contrastare, spesso con serio rischio, l’insorgere in altri di atteggiamenti oppressivi.
Fu uomo di cultura di notevole spessore, particolarmente sensibile alla musica e all’arte in genere. Appassionato di musica jazz in tempi nei quali questo genere musicale era largamente ignorato e sottovalutato, Salvatore vedeva in essa una delle espressioni più autentiche dell’anima degli afroamericani, e si compiaceva di constatare che il loro mondo irrompeva ormai sulla scena politica esigendo il pieno riconoscimento dei propri diritti.
Portò avanti per anni gratuitamente trasmissioni radiofoniche per “Radio città terrestre” di Danilo Dolci.
Leggeva poesia, parlava di musica facendo ascoltare selezioni di brani musicali, illustrava autori vari ecc …
Aveva il talento dell’improvvisazione e sapeva cogliere gli aspetti umoristici della vita e valutarne gli aspetti anche tragici.
Da studente universitario organizzò anche scenograficamente numerose feste della matricola, nel corso delle quali dava saggio del suo spirito satirico capace di creare situazioni di esilarante comicità. Sapeva raccontare barzellette come nessun altro, lasciando con il fiato sospeso gli ascoltatori. Si divertiva e faceva divertire compagni e amici e colleghi universitari.
Salvatore Barra era una persona priva di pregiudizi e per nulla classista, come dimostrò soprattutto nella scelta fondamentale della sua vita, quando si innamorò, nell’ambiente del Centro studi di Danilo Dolci, di Giovanna. Soltanto dopo seppe che era figlia di un contadino, ma questa scoperta, piuttosto che smorzare, rinsaldò i suoi sentimenti verso la fanciulla, che sposò poi il 3 gennaio 1966. Non mancarono, come era prevedibile, tentativi di dissuasione nei suoi confronti, ma essi valsero solo a mettere in evidenza la fermezza e la gioia con cui egli confermava la sua scelta.
Da Giovanna ebbe due figli, Edoarda e Vincenzo, che resero felici anche i nonni.
Giunto quasi sulla soglia della laurea in medicina, avendo superato quasi tutti gli esami, Salvatore piantò in asso quegli studi per dedicarsi totalmente agli altri suoi interessi culturali.
Lottò per il riconoscimento dei diritti della classe operaia e contadina, senza ostentazioni di protagonismo, ricoprendo ruoli che esigevano maggiore sacrificio senza garantire apparenti riconoscimenti.
Odiò ogni atteggiamento mafioso, e fu felice quando, nella veste di giudice popolare nel maxiprocesso alla mafia, diede il meglio di sé, dimostrando di possedere saggezza e coraggio, assai più di quanto molti fossero disposti a riconoscergli.
Seppe pensare, seppe agire, seppe dare senza egoismo.
Fu modesto sino alla fine, che arrivò il 15 agosto 2001.
(Salvatore Barra, il terzo da sinistra)
(Salvatore Barra, il secondo da destra)