DOMENICA 6 NOVEMBRE ALLE ORE 18
presso la sede del PRC circolo "Peppino Impastato" Partinico
Via Venezia (Ex Arena Lo Baido)
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
L'"inutilità" del comunismo di Frank Ferlisi
Qualche idea per evitare che la rivoluzione ci trovi impreparati
Qualche idea per evitare che la rivoluzione ci trovi impreparati
Ne discutono:
Giusto Catania, direzione nazionale PRC
Frank Ferlisi, autore del libro, segreteria provinciale PRC Palermo
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C’è tanta ansia e moltissima fiducia nelle pagine appassionate di questo libro. L’ansia, quasi spasmodica, di definire un progetto, di lasciare una traccia, di appuntare una sorta di testamento politico, di enucleare le ipotesi di trasformazione della società per andare oltre la propaganda, spesso becera e politicista. Ma soprattutto c’è l’ansia di non essere complice cosicché nessuno, un giorno, possa accusare l’autore di aver taciuto.
C’è la fiducia convinta che le sorti dell’umanità non possano e non debbano essere quelle che i soloni del capitalismo hanno disegnato come una forma sovrastrutturale immodificabile. Fiducia sul fatto che non possono avere ragione loro, i teorici dell’ingiustizia.E pertanto Frank Ferlisi, in questo pamphlet che ricorda prove letterarie d’altri tempi, si pone la moderna domanda di leniniana memoria: “che fare?” Che fare se vinciamo le elezioni con il 51%? Che fare se facciamo la rivoluzione? Che fare se i comunisti riuscissero, un giorno (non importa se lontano o vicino), ad esercitare il potere assoluto?Coloro i quali credono di essere politicamente avvertiti avrebbero una risposta banale alla questione: “non è all’ordine del giorno”. I più cinici risponderebbero: “quando vai al potere, se mai ci andrai, ci pensi.” Altri politicamente scorretti si lancerebbero, lancia in resta, ad enumerare i crimini stalinisti e risponderebbero che la Storia ha già visto cosa sanno fare i comunisti.E qui c’è il nodo cruciale del libro di Frank Ferlisi, il quale sostiene che i comunisti non vinceranno mai se non sono, oggi, in grado di avanzare una proposta rivoluzionaria, di affiancare un progetto di lunga durata all’analisi della fase contingente, di definire una strategia minima valida almeno cento anni, da utilizzare come bussola di riferimento fondamentale per orientarsi nel mare magnum della tattica e del tatticismo, della propaganda e delle alleanze.Perché la storia del comunismo è infarcita di orrori e disastri? Perché i più grandi tentativi di assalto al cielo si sono trasformati in un potere autoritario e oppressivo? Perché nelle rare volte che i comunisti, in Italia, si sono cimentati nel governo del Paese hanno fallito? Ferlisi avanza una risposta inquietante a questi interrogativi: la ragione dei nostri orrori/errori va ricercata nel fatto che spesso abbiamo perso di vista la nostra alterità, la nostra ambizione di cambiare il mondo limitandoci a fare scelte valide solo hic et nunc, forse anche giuste talvolta obbligate, senza riuscire tuttavia a intravedere lo spiraglio di un progetto solido nel tempo.Dentro questa scelta di campo si comprende il provocatorio e, forse nietzscheano, titolo di questo libro. È un po’ colpa dei comunisti se oggi traspare in modo evidente l’inutilità del comunismo, o meglio, è colpa dei comunisti se non sono più in grado di avanzare un’ipotesi di trasformazione e di governo della società. Il libro di Ferlisi è un incitamento a rendere utile la parola “comunismo”, a dare senso a un termine che rischia, quotidianamente, di diventare sempre più archeologia politica; rimasuglio di un pensiero filosofico, o semplicemente una teoria della Storia.Non bastano i proclami auto-assolutori, non servono forme di vittimismo né esasperate manifestazioni identitarie per dare senso al comunismo che, invece, deve continuare ad essere una teoria del futuro.Ferlisi mostra la sua vera indole, in una riflessione in cui intreccia il punto di vista dell’intellettuale con quello del militante politico, soprattutto quando afferma che è necessario studiare per cambiare il mondo e bisogna prestare attenzione soprattutto alla storia, prima ancora che all’economia.E così bisogna ripensare la politica, con le sue forme, i suoi riti e i suoi obiettivi. E per i comunisti la prima questione su cui costruire il progetto non può non essere ricercata nell’intreccio tra eguaglianza e democrazia.Bisogna affrontare la questione con lo sguardo attento alla complessità dei fenomeni, perché senza la capacità di allargare lo sguardo oltre il microcosmo della propria militanza si rischia di continuare a praticare la sconfitta della politica. Oggi si è persa l’essenza della politica che spesso riproduce il male da cui dovrebbe proteggerci anche perché prima di assumere il potere la buona politica, e soprattutto il militante comunista, dovrebbe sapere quali sono i suoi obiettivi, le tappe intermedie e la sua prospettiva strategica.Ferlisi usa un linguaggio diretto, senza fronzoli, privo dell’ipocrisia del “politicamente corretto” che omologa la politica e la rende riconoscibile alle masse solo attraverso il filtro dei talk show televisivi.È un libro infarcito di buone letture e di studi approfonditi, Ferlisi è gramscianamente un intellettuale organico ed infatti i suoi interlocutori privilegiati sono dentro il partito in cui milita, sono i suoi “compagni” di lotta e di vita. La ricerca dei nostri errori è un modo per imparare la lezione della Storia e per riproporre in termini nuovi la sfida, attualmente persa, della rivoluzione. Sfida e non scommessa. Perché non si può lasciare alla sorte l’obbligo sociale e morale della rivoluzione, che solo la classe operaia potrà realizzare.Scrive Mario Tronti: “Il fallimento del movimento operaio è qui. E non nell’aver azzerato qua e là qualche democrazia parlamentare. O nell’aver qua e là zittito qualche poeta dell’anima. Il luogo, il tempo, è quello del fallimento storico della classe operaia: che aspetta di essere per intero pensato. La classe operaia: in Occidente non è riuscita a diventare classe dirigente, dominante in un modo nuovo, egemonico. Si è fatta sindacato, si è fatta partito, si è fatta governo, non si è fatta Stato, e cioè, tra l’altro, anche Ordinamento, Regno, Verfassung, e ognuna di queste parole-concetto ha un suo senso storico-teorico. In Oriente, la forma del dominio assunto è quella ereditata più dalla storia moderna che dalla politica moderna, cioè la politica ridotta a Stato, inteso però nella sua forma appunto storica di monopolio della violenza.” Ferlisi dimostra di essere d’accordo con Tronti, tanto da sostenere che questo è ancora il compito della classe operaia: diventare egemonica, dominante, dismettendo l’abito della subalternità, per evitare che la rivoluzione ci colga impreparati e per accantonare l’inutilità del comunismo.
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